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Immagine del redattoreSBLSUB

FAUNA ITTICA ITALIANA

In Italia sono presenti circa 50 specie autoctone di pesci d’acqua dolce; di queste 22 specie sono endemiche, cioè tipiche ed esclusive di questa zona. La maggior parte delle specie endemiche si trova nel nord Italia in corrispondenza dei laghi e dei fiumi alpini, della pianura Padana e delle risorgive o fontanili (ambienti molto isolati che portano alla formazione di nuove specie).

Per quanto riguarda lo stato di conservazione della fauna ittica italiana, a partire dalla fine degli anni ’90, la situazione è notevolmente peggiorata: alcune specie (come l’anguilla, il triotto, l’alborella, la tinca, la scardola e il latterino) un tempo molto diffuse e abbondanti hanno subito un drastico declino e oggi vengono considerate a rischio di estinzione.

In Italia lo storione, lo storione ladano e la lampreda di fiume sono considerati estinti. Delle circa 50 specie

autoctone di pesci presenti in Italia solamente una, il cavedano, può essere considerata non a rischio di estinzione; tutte le altre specie sono da considerare, a diverso grado, in pericolo di estinzione.

Secondo i criteri di classificazione della IUCN, la lampreda di mare, lo storione cobice (endemico), la trota macrostigma (endemica), il carpione del Fibreno (endemico), il carpione del Garda (endemico) e l’anguilla sono classificati come gravemente a rischio di estinzione (critically endangered).

La lampreda padana (endemica), la lampreda di ruscello, l’agone/asola, la trota fario, la trota lacustre, la trota marmorata (endemica), il temolo, il panzarolo (endemico) e il ghiozzo di ruscello (endemico) sono classificati come fortemente a rischio di estinzione (endangered). Tutte le altre specie sono considerate vulnerabili all’estinzione (vulnerable).

Attualmente, in Italia, la tutela e la gestione dei nostri corsi d’acqua, dei laghi e delle zone umide è inefficace; questo è dovuto principalmente: a una grande confusione normativa, alla frammentazione delle competenze e delle risorse e alla mancata o tardiva applicazione delle direttive internazionali. Questo problema si

ripercuote sulla salute degli ecosistemi acquatici.

La Direttiva Habitat (Direttiva 1992/43/CE), che ha lo scopo di salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo, protegge solamente 24 specie di pesci d’acqua dolce autoctone italiane. Pur comprendendo molte delle specie importanti per la conservazione, questo elenco è molto lacunoso in quanto esclude specie endemiche

italiane minacciate di estinzione, come ad esempio il carpione del Garda (presente solo nel lago di Garda), il carpione del Fibreno (presente solo nel lago di costa Fibreno) e il panzarolo.


La pesca nelle acque dolci è regolamentata da un vecchio testo unico nazionale, il Regio Decreto n. 1604 del 1931. Con il passare del tempo la regolamentazione della pesca è stata delegata alle Regioni, le quali hanno normato l’attività con proprie leggi e successivamente hanno delegato questo compito alle Amministrazioni provinciali. Quindi, attualmente, le Provincie hanno il compito di gestire l’ittiofauna; ad esempio si occupano del rilascio della licenza di pesca, sia per la pesca dilettantistica che professionale, di tutte le concessioni che la legge prevede, dell’autorizzazione dei centri privati di pesca, all’utilizzo degli elettrostorditori, alle autorizzazioni per lo svolgimento di gare e manifestazioni di pesca.

Normalmente un fiume o un lago interessa più province; ma spesso le provincie non comunicano tra di loro

e non si mettono d’accorso sul da farsi, quindi possono essere presi dei provvedimenti diversi per uno stesso corpo idrico da parte delle varie provincie. La mancanza di coordinamento e di politiche comuni su vasta scala (o almeno per il bacino idrografico) porta a dei risultati inefficaci e controproducenti. Questo problema si potrebbe risolvere affidando la gestione della fauna ittica all’Autorità di Bacino e facendo delle carte ittiche

a livello di bacino idrografico e non più a livello provinciale.


I principali fattori di minaccia sono: la malagestione della rete idrografica superficiale; l’artificializzazione degli ambienti naturali che porta alla perdita di habitat o micro-habitat necessari per completare il ciclo riproduttivo; la frammentazione degli habitat a causa degli sbarramenti dei corsi d’acqua (come canalizzazioni, dighe, escavazioni in alveo) che può portare all’alterazione del ciclo biologico (spesso i pesci hanno bisogno si aree diverse per riprodursi, far crescere gli avanotti, alimentarsi, quindi introducendo uno sbarramento si impedisce ai pesci di spostarsi da una zona ad un’altra e si altera il ciclo biologico); l’inquinamento dell’acqua; l’introduzione di specie alloctone invasive; l’inquinamento genetico (ibridazione con specie affini) e la pesca intensiva e illegale.

Per maggiori informazioni è possibile consultare il rapporto del WWF “Acqua in Italia – l’emergenza continua:

a rischio molte specie di pesci” che descrive bene lo stato di conservazione dell’ittiofauna italiana.

Prossimamente analizzeremo il caso dell’anguilla (Anguilla anguilla), una specie in passato molto diffusa e abbondante, con popolazioni estremamente numerose, che oggi rischia fortemente l’estinzione a causa di un prelievo troppo intenso.


Clarissa Barbieri


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